Un botta e risposta

con Giordano Bruno

Guerri su “Vincere”

 

 

Il film Vincere provoca un vivace botta e risposta fra lo storico Giordano Bruno Guerri (nella foto) e Stefano Lorenzetto sulle pagine del Giornale, al quale entrambi collaborano. Guerri aveva accusato il regista Marco Bellocchio, invitato a Porta a porta, di «un falso grave» per aver «inventato» nell'opera cinematografica il matrimonio fra Benito Mussolini e la trentina Ida Dalser. Lorenzetto gli replica e pubblica una prova indiretta di quelle nozze religiose: un documento ufficiale del Comune di Milano, datato 21 ottobre 1916, che qualifica la Dalser come «moglie» del militare Mussolini Benito e le assegna un sussidio. «Si può essere moglie senza sposarsi?», chiede Lorenzetto a Guerri.

 

 

Bellocchio trae spunto

da un “tipo italiano”

per il film “Vincere”

 

 

Esce sugli schermi Vincere (nella foto la locandina), il film che è stato ispirato al regista Marco Bellocchio dalla lettura sul Giornale di un’intervista di Stefano Lorenzetto - pubblicata per la serie Tipi italiani - sulla vera storia di Ida Dalser, prima moglie di Benito Mussolini, e del figlio Benito Albino, fatti morire in manicomio dal dittatore. L’articolo aveva suscitato anche l’interesse dello scrittore Aldo Busi, che nel 2001 inviò una lettera al direttore del Giornale per congratularsi: «In volo da Atene a Roma (questo per dire come mi è capitato fra le mani Il Giornale) ho letto l’intervista di Stefano Lorenzetto. Grande pezzo, grande compagnia; erano secoli che non leggevo un’intervista così narrativamente ben strutturata e ben scritta, così avvincente e coraggiosa innanzitutto nella forma (la sostanza è di tale presa che chiunque, oggi, l’avrebbe fatta franca con qualsiasi sciattezza o fretta stilistica). E ottima impaginazione, neppure un refuso, punteggiatura accurata (il problema della citazione all’interno del racconto in prima persona: non ne tiene più conto nessuno di questi caotici scribacchini dell’Ordine): un vero regalo di accuratezza storica, di passione piegata alla disciplina del rispetto verso il lettore, una lingua viva». A difesa della tesi del suo film, Bellocchio ha citato Lorenzetto in occasione della conferenza stampa al Festival di Cannes 2009, dove Vincere era l’unica opera italiana in concorso. Sul tema è seguita un’intervista con Bellocchio.

 

 

Il “Guinness” si occupa

dei “Tipi italiani”

arrivati a 500 puntate

 

 

La serie Tipi italiani, inaugurata da Stefano Lorenzetto sul Giornale, è arrivata domenica 20 giugno 2010 alla 500ª puntata. Non era mai accaduto nella storia del giornalismo che un quotidiano pubblicasse per 500 settimane consecutive - a parte le inevitabili pause dovute a ferie, malattie o lutti dell’autore, da 11 anni sempre lo stesso - un’intera pagina di intervista con personaggi sconosciuti al grande pubblico (quelli famosi non superano infatti l’8% del totale). La prima puntata uscì il 23 giugno 1999. Titolo: «Jò Melanzana, il gigolò della Valsugana». Tutte insieme le 500 interviste raggiungono una lunghezza quasi doppia rispetto a quella della Bibbia: circa 8 milioni di battute. Il primato non poteva sfuggire al Guinness World Records, pubblicato dal 1955 in oltre 100 Paesi (in Italia da Mondadori), che con più di 3 milioni di copie vendute ogni anno in 25 lingue è il libro più diffuso al mondo dopo le Sacre Scritture. «Si tratta di un record interessante e incredibile, che attualmente non esiste», ha scritto da Londra il giudice ufficiale Marco Frigatti, dal 2003 vicepresidente della corporate Guinness World Records. «Ho chiesto al mio team di ricercatori nella categoria mass media di valutare la possibilità d’istituire questa nuova categoria, interviste, in vista dell’omologazione del primato». Per la 500ª puntata Lorenzetto ha intervistato un «tipo italiano» assai particolare: il direttore dello stesso Giornale, Vittorio Feltri.

 

 

L’ultima intervista

con Caprara, segretario

di Palmiro Togliatti

 

 

È morto a Milano, all’età di 87 anni, Massimo Caprara (nella foto), che fu il segretario di Palmiro Togliatti dal 1944 fino alla scomparsa del leader del Pci, avvenuta a Yalta nel 1964. Poco tempo prima d’essere aggredito da una grave malattia degenerativa, Caprara rilasciò a Stefano Lorenzetto una lunga intervista, pubblicata sul Giornale il 25 aprile 2004, che riletta oggi può essere considerata il compendio breve di una vita lunga e straordinaria.

 

 

Mario Cervi svela come

Lorenzetto gli predisse

la nomina a direttore

 

 

La rivelazione si legge nel libro Gli anni del piombo. L’Italia fra cronache e storia (Mursia), l’autobiografia di Mario Cervi sotto forma di dialogo con Luigi Mascheroni: «Sul modo in cui esattamente si arrivò alla mia nomina a direttore del Giornale, in realtà, ne so meno di Stefano Lorenzetto, all’epoca vicedirettore del quotidiano e ancora oggi una delle nostre firme più popolari». Così, da pagina 152 a pagina 155, il braccio destro di Indro Montanelli lascia raccontare direttamente a Lorenzetto (nella foto con Cervi) quella rocambolesca mattina del dicembre 1997, quando si sentì pronosticare che prima di sera avrebbe preso il posto lasciato da Vittorio Feltri. «Accadde il 2 o il 3 dicembre 1997», rievoca Lorenzetto, «ma sulla data non potrei giurare. Vittorio Feltri già da qualche giorno aveva annunciato le sue dimissioni irrevocabili da direttore del Giornale. Io ero il suo vicedirettore vicario. La soluzione che l’editore aveva individuato per rimpiazzarlo sembrava cosa fatta: Enzo Bettiza direttore, Maurizio Belpietro condirettore. Roberto Crespi, consigliere delegato della Società Europea di Edizioni, la casa editrice del Giornale, bussò alla porta del mio ufficio verso le dieci. Ogni tanto lo faceva ed era sempre per parlarmi di qualcosa che gli stava a cuore. Come quando, nel marzo dell’anno prima, s’era presentato con un pezzo scritto da un redattore lasciato a piedi dalla chiusura dell’Informazione di Mario Pendinelli: “È un bravo giornalista, piemontese come me. Potrebbe far leggere l’articolo a Feltri? Magari gli piace e lo pubblica”. Lessi. Era un vescicante ritratto di Giorgio Fossa, candidato alla presidenza della Confindustria. Guardai la firma: Mario Giordano. Consegnai il pezzo a Feltri. Lesse anche lui e sentenziò: “Hai ragione, questo è un fuoriclasse da assumere. Intanto lo mettiamo domani di spalla in prima pagina”. Crespi dunque entrò, si sedette. Mi fissò per un istante e poi, senza tanti preamboli, sospirò: “Siamo senza direttore”. “Che novità sarebbe?”, replicai io. “Lo sanno tutti che Feltri il 6 dicembre se ne va.” “Ma no”, chiarì Crespi, “intendevo dire che Bettiza ha rinunciato all’incarico, non ha accettato la clausola che dà a Belpietro carta bianca nella fattura del Giornale. Un bel guaio. E ora che facciamo? Sa, ieri si diceva ‘il Giornale di Feltri’ come l’altrieri si diceva ‘il Giornale di Montanelli’. Un direttore-bandiera ci occorre, l’abbiamo sempre avuto. L’editore non vuol rinunciare ad avere in gerenza un nome molto noto, che ricordi la figura del vecchio Indro, che valga per i lettori come una garanzia di continuità. Un direttore per gli editoriali, mica per la ‘macchina’. Ma dove lo andiamo a trovare, adesso, un nome così? Non c’è, non esiste. A me non viene in mente nessuno”. Il motivo della visita mattutina di Crespi si disvelava: cercava da me un suggerimento. Semmai ne avessi avuto uno da dargli. Perché si capiva benissimo che non ci contava molto. Risposi d’istinto: “Mi meraviglio di voi, dall’editore in giù. Ma scusi, non avete già in casa il braccio destro e anche sinistro di Montanelli? Perché non provate a chiedergli se vuol diventare direttore?”. Mi guardò interdetto: “E chi sarebbe?”. “Chi sarebbe?”, mi stupii a mia volta. “Ma come? Sto parlando di Mario Cervi. Non è forse nostro editorialista e non scrive i libri a quattro mani con Montanelli?” Il sensorio di Crespi s’era d’improvviso rianimato. Gli occhi del consigliere delegato ora brillavano. Ma sì, Mario Cervi! Come non averci pensato prima? Due impercettibili pieghe agli angoli della bocca tradivano un sorriso interiore inibito dall’autocontrollo sabaudo: gli avevo dato un’idea e, per di più, quella giusta. “E secondo lei accetterebbe? Sa, ha una bella età...”, buttò lì. “È del ’21, un giovanotto”, lo rincuorai. “Secondo me accetta eccome. E poi che cosa sono mai 76 anni al giorno d’oggi?” Crespi si alzò, ringraziò con asciutta deferenza e uscì. Passata meno di mezz’ora, arrivò al Giornale, ignaro di tutto, Mario Cervi. Lo incrociai in corridoio, quasi di fronte alla porta della segreteria di redazione. Come al solito teneva al guinzaglio uno dei suoi barboncini, non ricordo se fosse Gilda oppure Golia III, o magari era Golia IV, non sono mai riuscito – lo confesso – a distinguere la sequela genealogica, i nomi e il sesso dei suoi cani, uno uguale all’altro. Gli dissi a bruciapelo, afferrandogli il braccio destro: “Mario, mi sa proprio che prima di sera tu sarai il nuovo direttore del Giornale”. Cervi non ebbe nemmeno un sussulto di stupore. Semplicemente credeva che scherzassi: “Stefano, Stefano, mi prendi sempre in giro”, ridacchiò con tono di rimprovero. Pensava a una battuta, anche un po’ infelice. Quella sera stessa, alle 19,30, squillò il telefono: era Cervi. “Mi hanno appena offerto di dirigere Il Giornale. Ho già chiesto consiglio a Indro, che mi ha dato via libera con queste parole: ‘Sono felice per te. Accetta’. Ma tu come hai fatto a prevederlo?”. “Intuito femminile”, svicolai. “Congratulazioni, Mario. Sono tanto felice anch’io di averti come direttore”. Da quel giorno Cervi mi chiama l’Oracolo».

 

 

Lorenzetto fa cadere

l’embargo culturale

sull’eccidio di Katyn

 

 

Un’intervista di Stefano Lorenzetto con Mario Mazzarotto, il produttore cinematografico che ha distribuito Katyn in Italia, ha fatto cadere l’embargo culturale sulla pellicola del regista Andrzej Wajda. L’opera del maestro polacco, nomination all’Oscar 2008 per il miglior film straniero, incredibilmente rifiutata alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, racconta il massacro di 22.000 ufficiali polacchi avvenuto nella primavera del 1940 per ordine di Stalin (nella foto una delle scene più sconvolgenti del film). Dopo l’uscita dell’intervista sul Giornale, è subito intervenuto il ministro per i Beni culturali, Sandro Bondi, al quale il presidente della Biennale, Paolo Baratta, e il direttore del settore cinema, Marco Müller, hanno assicurato che Katyn sarà finalmente accolto al Lido come proiezione speciale. «Meglio tardi che mai», ha commentato il distributore Mazzarotto.

 

 

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